Poco fa sono stato intervistato da Radio Rai Regionale ed ho parlato di un argomento a me caro, relativo al lato oscuro dei risultati di ri...
Poco fa sono stato intervistato da Radio Rai Regionale ed ho parlato di un argomento a me caro, relativo al lato oscuro dei risultati di ricerca. Della presunta autorevolezza di Google e del suo metodo di indicizzazione. Del fatto che ciò che non emerge nei primi risultati di ricerca nei sistemi di ricerca (google e youtube) non diventa “cultura popolare”.
Che cosa determina il criterio di indicizzazione di un motore di ricerca come google?
Google risponde che sono gli utenti, o meglio i backlink degli utenti a determinare l’autorevolezza dell’INDICIZZAZIONE, cioè cosa compare per primo, per secondo e via dicendo, per parola chiave di ricerca. Ma questo non è vero per i risultati sponsorizzati.
Inoltre chi ha ricevuto una cultura classica sa attraverso i filosofi, ed anche chi ha ricevuto una cultura scientifica attraverso la revisione paritaria, che: “NON C’E’ COSA PIÙ PERICOLOSA DI CREDERE (o far credere) CHE ESISTA UNA UNICA REALTÀ”, cioè un unico risultato di ricerca per parola chiave.
Senza saperne realmente i criteri che stanno dietro a quell’indice, e senza avere possibilità di revisione paritaria o come società di influire su come debbano essere proposti i risultati di ricerca.
Eppure Google continua a proporci un “UNICO” risultato PRIMO, personalizzato, di ricerca per parola chiave.
Il secondo ottiene molti meno click, il terzo, meno e così via.
Una piccolissima minoranza arriva alla seconda pagina di google.
Google, azienda privata, che ha come primo interesse fare profitto, propone inoltre come primi risultati di ricerca, sulle parole più competitive, risultati SPONSORIZZATI, che sono quasi in tutto e per tutto uguali ai risultati “non sponsorizzati” (tecnicamente chiamati organici). Questo fa si che solo chi “spende” sulle parole competitive, sia realmente visibile.
In base a questo criterio siamo quasi tornati indietro di 20 anni, ai criteri di visibilità dei mass media, dove solo chi può spendere ha concrete chance di visibilità nelle ricerche di parole chiave competitive. E questo non è un criterio di cultura.
Ritengo che debbano essere le UNIVERSITÀ, espressione millenaria della cultura umana ad occuparsi attraverso una cooperazione internazionale, dell’indicizzazione del web e delle ricerche e risultati di ricerca, non una azienda privata con una posizione dominante di mercato.
Questo è quello che ho cercato di dire molto brevemente, nel mio intervento nella trasmissione “A tutto WEB” condotta dall’ottimo Orio Di Brazzano che ringrazio per l’invito che mi ha fatto ad intervenire nel programma.
Prossimamente il podcast della trasmissione contenente anche il mio intervento sarà pubblicato qui: http://www.rai.it/dl/portali/site/articolo/ContentItem-c3117948-24ed-4a0c-8406-a060d240d0a5.html
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